Giorno 03 – Senza corrente con candele e zappa.


Notizie sparse di una giornata qualunque.
Crisi energetica, nucleare sì, eolico no, solare sì, carbone no.
Bush e la sua guerra contro il mondo,
il Papa con la propria,
noi tutti alle prese con una vita-sciarada.
Oggi ho perso la mattinata perchè mancava l’energia elettrica,
e ho capito che senza corrente siamo nulla.
Il giorno, non molto lontano, in cui il petrolio costerà come l’oro,
noi riprenderemo in mano le candele e le zappe.

Giorno 02. Diamoci un taglio.


Ogni periodo ha la sua lunghezza.
Non parlo di grammatica, ma di capelli.
Sono troppo lunghi.
Belli, ma lunghi.
Per questo oggi ci darò un taglio.
Il lavoro procede bene,
trasloco effettuato,
non vedo più il mare,
ma sono dentro la città, ne sento la vita scorrere sotto i miei piedi,
le persone che inetrsecano le loro esistenze,
i loro odori, le loro pazzie.
Mi piace cambiare, sfidare le mie abitudini, le mie certezze,
trovare stimoli nelle incognite.
E i miei capelli si erano fatti strane idee..

Giorno 01 – Colgo un fiore e faccio programmi.


Questo è un periodo avaro di fiori.
Ma ogni anno, puntuali ed eleganti,
mi fanno compagnia i narcisi.
Profumano di limone, e rendono la casa un po’ allegra.
Sono fortunato ad avere un giardino,
perchè la terra mi rende più umano.
Il cemento è freddo e caldo,
monocolore e senz’anima.
La terra è viva, come me.

L’ordinaria amministrazione mi prende la quotidianità,
senza che me ne renda conto.
Devo ritrovare la leggerezza degli inizi del blog,
dove la curiosità del mezzo,
le frequentazioni con sconosciuti entusiasti,
mi permettevano di avere più entusiasmo nella vita di tutti i giorni.

Programmi per l’anno nuovo.
– Prenotare il viaggio di febbraio.
– Scrivere intorno a un’idea che ho da un anno.
– Fare un figlio.
– riprendere l’inglese
– migliorare la tromba
– fare il vino
-berlo.

Il primo giorno di rodaggio sta andando bene.

365 giorni della mia vita.


Cosa voglio dal futuro, se non un sereno presente?
Scrivo poco, ultimamente, e sto peggio.
Perchè la scrittura è la mia psicoanalisi, la mia forma di analizzare, ner su bianco,
i problemi, le speranze, le gioie.
La vita è diventata caotica, sempre più wifi, vincolata al presente, all’attimo vissuto, alla foga di dover andare più veloci.
Mi ritrovo spesso a pensare cosa sarebbe la mia vita senza i media.
PErchè senza rendermene conto, vivo assediato da telegiornali, telefoni, internet, giornali.
Il tempo per decantare i pensieri, per rassettare gli stimoli, per digerire concetti, no c’è più
Mi ritrovo ad aver perso fluidità nella parola,
linguaggio atrofizzato dal sintetismo moderno.
Voglio provare a fare un esperimento.
Ogni giorno, per 365 giorni, pubblicherò un pensiero, qualunque cosa mi permetta di fissare qualcosa di rilevante della mia vita,
tentando così di fissare qualcosa di questa vita che mi sta sfuggendo senza che io me ne renda conto.
365 giorni della mia vita.
Seduto nel mio letto, con il portatile tra le gambe e mia moglie che dormicchia al mio fianco, credo che sia una buona idea per il 2007.

Democrazia dell’ovvietà.


Un temporale si avvicina minaccioso,
mentre le macchine fiumano sotto il mio ufficio fronte mare.
Penso al tempo che è passato ossservando il tempo che muta,
che rovescia pioggia ormai freddina,
che spinge folate di vento nordico.
Due anni di scritti insulsi e di idee fulminanti,
di entusiasmi e di noie,
paranoie e dispiaceri,
conoscenze digitali.
Guardo questo monitor,
questa macchina meravigliosa ma in fondo fredda,
senza pelle, senza respiro, forse senza anima.
Una rete di persone o una rete di manichini senz’anima?
Noto sempre di più superficialità mascherata da profondità,
banalità ovunque, smania di scrivere fiumi di parole,
democrazia della ovvietà.
Potente strumento,
ma se i pochi colori bastano a Leonardo
per un capolavoro,
la democrazia dell’era digitale
ci porta solo
una diffusa mediocrità delle manifestazioni artistiche.
Scritti maleodoranti di buonismo manieristico
o di crudeltà semnatiche,
o di minchiate come questo.
😉

Quadretto 1. Cagliari Natalizia.


A Natale Cagliari sembra New York,
ma senza grattacieli,
senza luminarie
e senza newyorkesi.
I cagliaritani, però, ci credono ,
e sono contenti perchè ci sono anche i negri e i cinesi,
che fanno tanto multietnico,
se non rompono molto i coglioni.
Le vetrine del centro straboccano di cianfrusaglie inutili,
ma estremamente indispensabili,
e la gente caprona mette su rate
per caricarsela sulla schiena.
La parola d’ordine è: tecnologia,
perchè senza telefono non sei nessuno,
e senza navigatore satellitare
Pirri o Monserrato non le trovi.
E il Tv al plasma?
Indispensabile per recuperare
quei quaranta centimetri davanti al divano
che serviranno per la pancia sempre più grande.
Il Natale cagliaritano è poi
una festa irrinunciabile
per le cibarie che anche i poveracci
debbono procurarsi in quantità industriale.
Maiali e vitelli islamici si immolano volentieri
per questo rito per loro pagano,
sapendo che però troveranno presto nel loro paradiso
delle belle maiale e della grandi vacche.
Gamberi come gioelli
e aragoste come monolocali
trionferanno nelle tavole della gente bene,
della famiglie nobili,
dei politici,
dei Vip.
Perchè Cagliari è come New York,
almeno in questo.
I poveri muoiono di fame,
nell’indifferenza dei signori.

Buon Natale, gentaglia.

Grazie, Pierre!


Dicono che per essere relaizzato nella vita
devi fare un figlio,
scrivere un libro,
piantare un albero.
Io l’ho piantata di scrivere,
pianto figli che non crescono,
e pianto alberi che figliano.
Insomma, vivo confusamente, e mi diverto, almeno.
La natura mi sta riservando sorprese,
ogni giorno, ogni momento.
Basta un raggio di sole,
un po’ di rugiada,
un fiore selvatico,
un po’ di terra tra le unghie
e mi ritrovo felice.
E i profumi di quest’autunno primaverile,
confuso anch’esso.
Ciliegi che germogliano,
rose che si credono a maggio,
e il sole che scalda il cuore
e la pelle bianchiccia.
E io continuo,
imperterrito,
a essere felice con poco.
Grazie anche a regali come
la Pierre de Ronsard.

Il mondo in rosa.


Dopo un lungo periodo di relax campestre,
e di vita infernale cittadina,
ritorno agguerrito, più di un deputato dell’opposizione,
più di una pupa o un secchione,
più di un match di terza categoria di calcio.
Guardo intorno e non capisco,
ma guardo, almeno.
E oggi più di ieri mi rifugio
nel mio cervello, nelle mie sicurezze,
pensando che questo mondo
è veramente caduto in basso.
E mi rifugio,
nel profumo di una rosa.

Inverno, questo sconosciuto.


Annuso intorno un vento impetuoso e folante,
di schiume bianche su mare grigio,
di vento sbiadito su un cielo carta da zucchero.
Questo autunno africano,
questo tempo tropicale,
mi fa star male.
Stagioni senza riferimenti mi distruggono,
mi lasciano interdetto.
Voglio alternanza binaria,
caldo freddo,
netta.
Voglio mettere le polo nell’armadio,
e tuffarmi in maglioni pesanti,
guanti, sciarpe.
Voglio un the caldo,
una soupe d’oignon fumante,
una calda coperta sulle gambe.
Il sole ghiacciato su un cielo terso,
brillante, invernale.

Ps: Questo caldo ha rotto i marroni.